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«Quante emozioni nelle foto scattate a Piuro»

Andrea Resta, uno degli autori delle immagini pubblicate sul nostro sito, illustra la sua passione per la fotografia.

«La mia casa è quassù fra lo sconfinare delle vette e i racconti del vento...
...la mia casa è quassù fra le altere pareti e misteriosi silenzi...»

Ma in questi giorni di isolamento anche Andrea Resta, uno dei fotografi che ha dipinto di colori ed emozioni le pagine del nostro sito www.infopiuro.it, è fermo al box. Lavora nel suo garage nel cuore di Chiavenna, dove passa dal fotoritocco di immagini fissate sull'hard disk alla costruzione di cornici che sanno d'antico. «Mi piace quell'effetto che sa di passato, perché il mondo che mi emoziona è proprio quello lì, quello dei nostri nonni», racconta Andrea, nato nel 1989, mentre racchiude fotografie fresche di stampa fra legni appena carteggiati. «Le ho scattate quasi sempre in posti vicini, ma lontani, ormai conosciuti solo da pochissime persone, con toponimi che si traducono in difficoltà in italiano dal dialetto chiavennasco. Su quel versante - spiega indicando la montagna opposta a Pratogiano, tra Pianazzola e Dasile – si direbbe che ci sia ben poco. Invece i resti di antiche cascine coi fienili, cappellette votive, prati di poche decine di metri quadrati strapiombanti su frane recenti e millenarie hanno resistito al tempo che scorre verso l'epoca del “tutto veloce”. Sono uniti alle frazioni di Chiavenna, Piuro e San Giacomo Filippo da sentieri stretti e impervi, che si trovano a poche centinaia di metri in linea d'aria dalla statale 37, ma ormai li sappiamo scovare in pochi».

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Da quegli angoli dove spesso è necessario farsi spazio fra la vegetazione, per scorgere Chiavenna, la Bregaglia e il fondovalle, Andrea punta gli obiettivi delle sue reflex verso le terre più basse e il cielo. «Ma a volte mi piace salire ancora di più, su tracce ormai dimenticate, che non sono segnate né sulle mappe, né sulle App usate dai soccorritori. Io ho imparato a conoscerle grazie a mio nonno e mio zio. Le osservavamo insieme con il binocolo, poi sono salito a cercarle e, quando le ho trovate, non le ho più dimenticate. Da Daloo a Lago è molto più difficile incontrare persone, in media ne incrocio una all'anno, che animali. Non sono quasi mai solo: con me c'è Mauser, il mio inseparabile cane. C'è una vegetazione splendida, l'antropizzazione è minima e risale ai secoli scorsi. Ci sono villaggi e altri luoghi dove il tempo s'è fermato». 

Sostare per lunghe ore, dopo aver portato in alta quota uno zaino da 25 chilogrammi, è una pratica diffusa per cogliere le mosse e il fascino dei selvatici. «Il più elegante è lo stambecco. È particolare, curioso, nobile e fiero. In cielo mi piace cercare il gipeto, l'imponenza della sua straordinaria apertura alare. La fotografia, per me, è stata una conseguenza della mia passione per la montagna. Uno strumento che permette di raccontare, senza usare parole, le emozioni che colgo in alta quota, quando torno quaggiù. Senza, non mi crederebbero in molti».
Poi ci sono le - poche – eccezioni, sul livello della Mera o poco più. A cominciare da Savogno, passando per Crana e scendendo giù fino alle Cascate dell'Acquafraggia. «Magnifiche, imponenti, sempre diverse. Con una sfida sempre nuova, da affrontare e cogliere, per catturarne le sfumature».

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